Inquinamento del settore tessile: i 5 motivi che forse non conoscevi

Senza troppi giri di parole ti svelo questo: Una buona parte dell’inquinamento del Pianeta proviene dal settore tessile.

Ma quali sono i motivi? Ne parlano i telegiornali? Le grandi aziende tessili lo comunicano ai loro consumatori?

Che domande, ovviamente no. Leggi ancora per scoprire i 5 motivi che rendono il settore tessile inquinante.

L’inquinamento del settore tessile

Le uniche voci che descrivono l’entità degli impatti ambientali sono di coloro che pretendono di portare a galla la verità. Di coloro che vogliono portare alla luce del sole le svariate rilevazioni ambientali a riguardo che vengono costantemente sommerse. Di coloro che approfondiscono e che non si lasciano incantare dai nuovi trend in fatto di moda ma anzi reagiscono al sistema.

Il settore tessile industriale viene anche definito in inglese “fast-fashion“. Termine coniato dalla rapidità con cui i capi prodotti si muovono su tutte le passerelle di moda in tutte le vetrine delle più grandi città. Questo condiziona fortemente i trend in fatto di abbigliamento riuscendo ad imporre come “must-have” di stagione un capo piuttosto che un altro, influenzando così il mercato ed i consumatori.

La Fondazione Ellen MacArthur si è impegnata nello stilare una serie di motivi che rendono il settore tessile inquinante. La Fondazione privata americana si occupa di sostenere finanziariamente associazioni del settore no-profit ed i temi che più la interessano sono quelli che vanno in direzione della sostenibilità e tutto ciò che si integra nel concetto di “economia circolare“.

Ecco i 5 motivi che forse non conoscevi che rendono così inquinante l’industria tessile

Di seguito vi riporto alcuni elementi che rendono l’industria tessile fra le maggiori cause dell’inquinamento ambientale:

Inquinamento del settore tessile
L’industria tessile è fra le maggiori fonti di inquinamento del Pianeta.
  1. assenza di un metodo improntato alla circolarità. Ci si basa ancora totalmente su un’economia “lineare”: una tipologia di produzione e consumo estranei al riciclo e al riutilizzo e noti, invece, alla grande produzione di scarti finali e cioè di rifiuti;
  2. elevate emissioni di gas serra, quantificate in 1,2 miliardi di tonnellate, che vengono prodotte ogni anno. Inoltre si fa un utilizzo estremo di risorse non rinnovabili ed energia fossile dall’approvvigionamento alla messa in vendita sul mercato;
  3. eccessivo uso di sostanze pericolose nelle fasi di produzione dei capi. Da qui deriva l’inquinamento delle falde acquifere. Pensiamo, per esempio al rilascio di microfibre plastiche nell’ambiente, che avviene non soltanto nella fase di produzione ma anche in quella post-acquisto come la fase di lavaggio degli indumenti in poliestere e altre fibre non naturali;
  4. abuso di grandi dosi di fertilizzanti e pesticidi per la coltivazione rapida ed efficace delle fibre naturali. Anche quando la materia prima non è frutto di composizioni sintetiche da laboratorio, la risorsa naturale viene ahimè manomessa;
  5. produzione eccessiva di rifiuti: eccoci alla tomba dell’economia lineare, circa l’87% della fibra totale utilizzata finisce in discarica o incenerita con conseguenti tassi ridotti di ri-utilizzo e bassi livelli di riciclaggio (meno dell’1% dei materiali usati per produrre abiti viene riciclato in nuovi vestiti).

I consumatori sono informati dell’inquinamento prodotto dal settore tessile?

La Campagna Abiti Puliti ha posto un sondaggio a quasi 8000 persone.

L’obiettivo era sondare le consapevolezze degli intervistati circa l’inquinamento causato dal settore tessile.

Innanzitutto dal sondaggio emerge un pubblico femminile più informato ed interessato alla faccenda (un 82% contro il 76%).

Ma in totale solo il 17% delle persone è realmente informato, un 46% si dichiara “a conoscenza” degli impatti (ma senza approfondire ulteriormente), sorprendente la percentuale di chi non comprerebbe, a loro detta, da brand che inquinano: un 56%. Mi chiedo sinceramente se la loro dichiarazione sia vera dato che mi sembra un dato fortemente alterato.

Sembra che le multinazionali abbiano in mano lo scettro decisionale per quanto riguarda gli impatti ambientali. In parte sì, una maggiore attenzione dipende fortemente da un interesse per la collettività a cui dovrebbero ambire tutte le più grandi aziende del mondo, ma purtroppo le mie fonti mi dicono che questo non rientra fra le loro priorità al momento.

In parte no, in parte dipende da noi.

Se ci pensiamo, noi comuni mortali, siamo numericamente più dei potenti che inquinano.

Questo significa che, non dobbiamo gettare la spugna e che non dobbiamo sentirci vinti e/o soggiogati.

Cosa possiamo fare per limitare i danni causati dal settore tessile?

Di seguito alcuni consigli preziosissimi per cercare di ridurre notevolmente gli impatti negativi derivanti dall’industria dell’abbigliamento:

  • acquistare meno;
  • scegliere sempre sostenibile: preferire quindi un capo prodotto tramite l’impiego di una risorsa naturale o il capo dietro cui vi è una tutela del lavoratore o, infine, un altro il quale processo produttivo è avvenuto per mezzo di un approvvigionamento di energia green;
  • acquistare capi sostenibili delle categorie second-hand e vintage! Per altro pezzi unici e quindi inimitabili;
  • indossare gli abiti il più a lungo possibile. Senza gettarli si può arrivare persino ad un recupero per altri scopi, per esempio si può ottenere un oggetto con la stoffa o si può pensare ad un riciclo creativo per la cura della casa;
  • sensibilizzare le persone a riguardo, amici, parenti, conoscenti, compagni di università e colleghi. Tutti devono sapere;
  • ultimo ma non per importanza, boicottare le aziende inquinanti. E’ utile anche questo perchè tutte le più grandi multinazionali si nutrono di un’ottima reputazione e quindi arrecare loro danni all’immagine può avere effetti benefici per il pianeta 🙂

Vi sembrano poche le armi a nostro favore?

NO! Non lo sono. Sono tante e dobbiamo utilizzarle tutte.

 

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