COP27: cos’è successo?

Ora che le acque si sono calmate, a più di un mese di distanza, vediamo cos’è successo alla COP27, il più importante evento che si occupa di sostenibilità ambientale e cambiamento climatico e che ha visto riuniti i capi di 197 Paesi di tutto il mondo.

Anzitutto contestualizziamo questo evento.

Si tratta della Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e si è tenuta dal 6 al 18 novembre 2022 a Sharm el-Sheik, in Egitto.

Sia l’Egitto che il Qatar, non propriamente i fautori della democrazia, si sono entrambi offerti per essere le location di due eventi di grande portata come appunto la COP27 e come il Campionato mondiale di calcio appena terminato. Che sia un modo per riposizionarsi come partner strategico e fondamentale per i Paesi dell’Occidente? Oppure un modo per comunicare quanto siano aperti alle tematiche sociali ed ambientali? Chi lo sa, di certo però si cela dietro a questi eventi una fondamentale occasione di business.

In merito alla COP, avevo già parlato in questo articolo dell’evento tenutosi a Glasgow lo scorso anno. Vediamo ora invece quali sono stati gli argomenti trattati nell’ultima conferenza e quali le decisioni prese.

COP27: cos’è successo?

Le due settimane dal 6 al 18 novembre 2022 sono state raccontate da vari media, dai telegiornali fino ai canali social delle persone e delle associazioni attiviste coinvolte nell’evento. La mia fonte principale di notizie è stata la Onlus Italian Climate Network, che tramite bollettini e articoli specifici ha saputo portare notizie e aggiornamenti anche a chi era molto distante dalla città egiziana.

La COP27 non ha dato i risultati sperati e risulta anche difficile addossare la colpa del fallimento ad uno o pochi Paesi nello specifico, perchè gli anni pandemici appena trascorsi e il conflitto bellico fra Russia e Ucraina, hanno prodotto una crisi economica e sociale di enorme raggio, impedendo a molti Stati di raggiungere, o quanto meno, avvicinarsi agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

La COP27 ha prodotto due grandi decisioni:

  1. è stato proclamato una sorta di “via libera” alle fonti fossili, per contrastare la difficoltà di approvvigionamento delle fonti energetiche che si sta vivendo in questo periodo;
  2. è stato varato un piano di “loss and damage” (perdita e danno) per aiutare economicamente i paesi del Sud del mondo, spesso vittime principali degli effetti del cambiamento climatico.

Questo ultimo punto segna sicuramente una vittoria per questi Stati che sono spesso dimenticati nella loro povertà. Gli USA e l’UE avevano proposto il “Global Schield”, che avrebbe coperto i rischi climatici come potrebbe fare un’assicurazione, ma è risultata una proposta debole, in quanto il rischio di danno climatico è troppo alto e nessuna assicurazione si esporrebbe per stipulare un indennizzo. Invece la creazione del fondo “loss and damage” è importante perché i Paesi meno sviluppati potranno essere maggiormente considerati e supportati, sia oggi che nel futuro prossimo, nelle difficoltà dovute alle calamità ambientali.

Al termine della COP27, tutti si sono domandati: sono state prese decisioni per mitigare le conseguenze del cambiamento climatico? La risposta è no.

Rimane il parametro deciso dalla COP26, in merito all’aumento massimo di temperatura di 1,5°C, senza però nessuna discussione aggiuntiva circa la riduzione del metano o l’eliminazione dei combustibili fossili, anzi.

Ai Paesi che non avevano presentato i Piani nazionali su come ridurre le emissioni di CO2 è stato semplicemente chiesto di farlo entro la prossima COP28.

Quindi, in sostanza, in questa COP27 si sono occupati della logica di quantificazione del danno ma non del modo in cui poterlo ridurre.

Portando un esempio gastronomico, hanno designato la modalità tecnologica per coprire l’odore quando la torta si brucia, ma non hanno pensato a come evitare che si bruci.

Pensate che le parole del Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, sono state: “Bisogna essere chiari: il nostro pianeta è ancora in una situazione di emergenza, dobbiamo ridurre subito drasticamente le emissioni e questo non è stato affrontato. Il fondo per le perdite e i danni è essenziale, ma non è la risposta se la crisi climatica cancella della mappa un piccolo Stato insulare o trasforma completamente un Paese africano in un deserto”. Come lui, anche il responsabile clima dell’Unione Europea, Frans Timmermans: “Noi abbiamo cercato di portare tutti sull’obiettivo di 1,5 gradi, sul picco delle emissioni al 2025 e su una chiara intenzione di eliminare i combustibili fossili. Questa settimana abbiamo sentito 80 Paesi sostenere questi obiettivi. Tristemente, non li vediamo riflessi qui”.

Insomma, se non sono i 197 Paesi più inquinanti del mondo a farlo, chi è che deve occuparsi della riduzione delle emissioni di gas serra? 

Pensiamo ancora che la vera strada sia la responsabilizzazione del singolo cittadino?

A voi le riflessioni.

 

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